La storia del territorio
e della città
8. PERIODO BORBONICO E NOVECENTO
Dopo la breve appartenenza alla casa Savoia (1713 - 1720) e a quella degli Asburgo (1720 - 1734) la Sicilia passò ai Borboni con re Carlo III. Il 30 aprile del 1734 Pietro Maria Starrabba Di Lorenzo divenne barone di Scibini e principe di Giardinelli; il 21 aprile 1755 la baronia passò a Gaetano Maria Starrabba Calafato. Questi, collaborato dal fratello Vincenzo, fu l'artefice della fondazione del l'odierna Pachino.
Bisogna premettere che l'età barocca vide in Sicilia una intensa attività nel campo degli interventi urbanistici, sia in relazione alla ricostruzione dei centri colpiti dal terremoto del 1693 che in ordine a quel fenomeno che va sotto il nome di "ripopolamento delle campagne", fenomeno dovuto interamente all'iniziativa aristocratica. sia sotto i re di Spagna che sotto i Borboni, e che con la fondazione di oltre un centinaio di nuove città, da Bolognetta nel 1610 a Priolo Gargallo nel 1807, determinò l'assetto attuale della Sicilia.
In pratica le amministrazioni spagnola prima, borbonica poi, furono costrette a seguire in Sicilia una politica mirante ad aumentare la superficie delle terre coltivate, allo scopo di assicurare una maggiore produzione agricola da destinare agli accresciuti consumi interni e al fabbisogno dei suoi eserciti. Fu favorita quindi la colonizzazione delle zone disabitate della Sicilia, in particolare di quelle zone e quei feudi già predisposti allo scopo per la presenza di masserie e per la vicinanza di zone portuali e caricatoi per il trasporto navale dei prodotti agricoli.
Queste città sorsero secondo una "licentia populandi" con cessa dal sovrano agli aristocratici proprietari di feudi che ne facevano richiesta in cambio di numerosi privilegi come titoli nobiliari supe riori a quelli già posseduti, immunità personale, possibilità di sedere nel Parlamento Siciliano e, non ultimo, il diritto del "merum et mixtum imperium" cioè il diritto di esercitare la giurisdizione civile e penale sugli abitanti delle loro terre. Questi ultimi, provenienti dalle città demaniali (di proprietà della corona), o, come nel caso di Pachino, dall'estero, venivano invogliati a trasferirsi nelle nuove città con vari mezzi tra cui il condono per eventuali reati commessi; veniva loro concesso, oltre al lotto per la costruzione della casa, un piccolo appezzamento di terreno in enfiteusi ( forma di affitto a lunghissimo termine), da coltivare in proprio, fermo restando l'obbligo di lavorare le terre del signore, che venivano amministrate con la mediazione dei "gabelloti", figure destinate a divenire la futura classe dirigente. Si noti, a questo proposito, che proprio da queste figure, nella Sicilia occidentale e centrale, avrà origine il fenomeno della mafia rurale.
Il disegno urbano di queste nuove città si ispirò al principio del massimo sfruttamento dello spazio, con uno schema a scacchiera ortogonale, con diverse varianti, quasi sempre con una vasta piazza al centro su cui si affacciavano gli edifici più rappresentativi e le sedi del potere : la Chiesa Madre, il Palazzo del Signore, il forno comune; il tessuto abitativo era costituito da isolati quadrati o rettangolari spesso con cortile centrale, i quali venivano suddivisi in lotti per le abitazioni.
Si trattava di povere "casuzze", dove coabitavano persone e animali, con la stalla a piano terra e un semplice soppalco in legno per dormire e conservare gli oggetti di uso quoti diano. gran parte della vita sociale si svolgeva all'esterno, nel cortile.
Il 14 aprile 1758 Gaetano Maria Starrabba Calafato, richiese al re Carlo III di Borbone Farnese la "licentia populandi", tramite il vicerè Marchese Fogliani, per il proprio feudo Scibini, ottenendo il primo decreto autorizzativo il 2 agosto 1758. Avendo trovato qualche difficoltà inoltrò una nuova richiesta al re in data 19 febbraio 1760 ottenendo l'autorizzazione definitiva dall'infante Ferdinando IV in data 21 luglio 1760 con esecutoria vicereale del 1° dicembre 1760.
Alla fondazione di Pachino si erano opposti per lungo tempo sia i nobili notinesi, sia il barone del feudo limitrofo di Burgio Maucini, che aspirava ad una propria città nella sua terra. Tali ostacoli furono però superati da Gaetano Starrabba, che si impegnò ad osservare tutte le clausole della "licentia populandi": il nuovo centro doveva essere popolato da stranieri, possibilmente di origine greco albanese, doveva sorgere sul poggio più alto del feudo, dove esisteva già la masseria, ed essere lontano non meno di due chilometri dal mare; l'unica variante fu costituita dalla nazionalità dei nuovi abitanti, che vennero da Malta, come si può costatare dalla persistenza a tutt'oggi di taluni cognomi tipici, come Boager, Borgh, Micalef, Meilach ed altri.
Urbanisticamente Pachino ricalca gli schemi insediativi delle altre città di ripopolamento con una maglia di strade ortogonali e isolati di forma quadrata con cortile centrale; il disegno della sua pianta, secondo gli storici locali, fu redatto dal geometra di Piazza Armerina Francesco Garrano.
La vasta piazza, una delle più grandi di Sicilia, al centro del paese, occupa lo spazio di quattro isolati e costituisce il centro della vita sociale, politica ed economica del paese, su di essa si affacciano la Chiesa Madre, la cui facciata barocca ma povera di decorazioni, recentemente restaurata, fu ricostruita pochi anni dopo la prima costruzione per motivi ancora oggi ignorati e numerosi palazzi signorili costruiti in epoca successiva dalla classe emergente della borghesia agraria; originariamente sulla piazza si affacciava anche il palazzo del barone con il suo giardino, oggi purtroppo demolito e sostituito da edifici di scarso interesse architettonico e ambientale. Le prime case dei contadini nacquero invece attorno alla « Piazza del popolo », oggi occupata dalla moderna costruzione sede del l'Ufficio Postale, e risposero alle semplici esigenze dei loro occu panti, con caratteristiche simili a quelle descritte in precedenza.
Il barone Gaetano Starrabba nel 1763 versò al Regio erario la somma di ventimila scudi per la nuova popolazione pachinese; per questo doveroso adempimento gli spettò il titolo di Primo Conte di Pachino e il diritto di occupare un seggio nel parlamento di Sicilia come pari del Regno.
Non potendo curare direttamente le esigenze della cittadina concesse al fratello Vincenzo una procura per la cessione di terreni edificabili: di fatto fu quest'ultimo a curare la vera realizzazione di Pachino.
Successivamente Pachino si espande a macchia d'olio lungo gli assi di penetrazione delle regie trazzere, quella per Noto e quella per Spaccaforno (oggi Ispica); nel 1809 nasce la borgata di Portopalo con 300 abitanti, oggi comune autonomo; nel 1812 con l'abolizione dei diritti feudali Ferdinando I di Borbone conferisce a Pachino il diritto di costituirsi in comune autonomo; nel 1832, secondo quanto pittorescamente riportato da Monsignor Simone Sultano, la città fu invasa dai lupi che seminarono « strage ovina e bovina », come scriveva all'intendente di Noto in data 16 ottobre 1832 il sindaco Raffaele Garrano; nel 1837 su Pachino si abbattè una terribile epidemia colerica che fece numerosissime vittime, come si legge in una lettera dell'allora sindaco Vincenzo Costa. Nello stesso anno scoppiò la rivoluzione antiborbonica ad opera di Diego Arangio che fu costretto a riparare all'estero e a restarci fino alla spedizione garibaldina; nel 1865 la piazza centrale sul colle Scibini fu denominata Piazza Vittorio Emanuele.
Tra i membri della famiglia Starrabba il più famoso fu sicuramente Don Antonio Starrabba Di Rudinì che, dopo una brillante carriera politica divenne primo ministro di Umberto I di Savoia, sostituendo dal 1891 al 1898 Francesco Crispi, politicamente caduto in disgrazia dopo l'insuccesso di Macallè.
Così descrive Pachino Gioacchino Di Marzio nell'anno 1856, commentando il più antico «Dizionario Topografico della Sicilia» dell'abate Vito Amico :
« La novella terra di Pachino è oggigiorno un capo-circondario di 3^ classe in provincia, distretto e diocesi di Noto da cui dista 4 miglia rotabili e 12 non rotabili..... si ha un castello ed una sola chiesa sotto il titolo del SS. Crocifisso... la fiera del bestiame si apre ogni anno per lo spazio di 5 giorni nel 15 di agosto occorrendo la festività dell' Assunzione di Maria. Il sito è in una pianura di aria mediocre perchè il pantano denominato Morghella ne dista un miglio... l' acqua vi è bastante ed anche mediocre perchè sente di salmastro essendo poco discosto dal mare l'unico pozzo da cui si attinge... Erano 1536 gli abitanti nel 1798 indi 3084 nel 1831 e 3666 nel 1852. L'estensione del territorio comprende salme 806,020 delle quali compartite per coltivazioni 2,324 in orti semplici, 90,830 in cotoneti, 587,734 in seminatori semplici, 107,828 in pasture, 15,904 in vigneti alberati, 0,799 in ficheti d'india, 0,090 in terreni a delizia, 0,511 in suoli di case rurali. Esporta frumento, cotone, pesce salao e soda, la strada comunale da Pachino a Noto non si è ancora portata a termine ».
Dal commento del Di Marzio si evince come l'economia del piccolo comune a metà del 19° secolo sia retta soprattutto dalla produzione del frumento e del cotone e non di uva e mosto come comunemente si crede. La svolta che spinge i contadini a dedicarsi alla coltivazione della vite deve verificarsi pochi anni dopo se è vero quanto scrive Filippo Garofalo nel 1877 nel suo « Pachino e i suoi dintorni :
«...è rimarchevole che, senza coercizione di legge, sono state divise in piccole frazioni vaste
proprietà, in grazia all'industria per la vigna: tranne il Marchese Di Rudinì che da pochi
anni ampliò estesamente i vigneti e introdusse la piantagione degli agru mi..... la maggior
quantità di vigneti anzichè di grossi proprietari è opera dei lavoratori di campagna; costoro
che oltre alle braccia per lavorare e le zappe null'altro posseggono, tolgono ad enfiteusi o in
locazione per lungo periodo di anni da un ettaro a due di terreno incolto per ognuno, che il
proprietario di buona voglia cede fissandosi un discreto caone o fitto. Nei giorni che
l'agricoltore non ha lavoro e nei giorni festivi, va a dissodare parte della terra acquistata
sgombrandola dalla palma selvatica e dalla gramigna, e a tempo debito vi pianta da due a
tremila « magliuoli » (rametti di vite per l'impianto della nuova vigna) assistito dalla
moglie e dai figli. Il rimanente terreno s'industria seminarlo in orzo e frumento, la cui poca
semente toglie in prestito o compra esibendo pel prezzo il suo lavoro, e col raccolto paga
il primo canone o fitto nella stabilita annuale scadenza... Incessante il traffico per mosto e
vino come pure di tutti gli altri prodotti campestri concorrendo commercianti di lontani e
vicini paesi pel facile sbocco al mare... la pesca del tonno in Marzamemi e Capo Passero
accresce il commercio [ le due tonnare, quella di Marzamemi, impiantata dagli arabi poi
acquistata dal Principe Nicolaci di Villadorata di Noto, e quella di Portopalo Capo di
Passero, di proprietà del nobile Bruno di Belmonte, costruita verso gli inizi dell' '800, sono
oggi in uno stato di grande degrado] ...di non lieve vantaggio è stato il mulino a vapore... la
macchina per la sgra nellatura del cotone e macinazione dello zolfo per uso della vigna e
una macchina per la pasta... Se si migliorerà il porto di Marzamemi, prosciugheranno le
paludi, basoleranno le saline, fornirà acqua pota bile, fonderà uno stabilimento per un vino
tipo, compirà la strada per Spaccaforno, sarà maggiore il progresso di Pachino ».
Questa la situazione di Pachino al tempo dell'unità d'Italia.
Nel rimanente secolo e fino ai nostri giorni la situazione non è migliorata di molto, l'emigrazione (vi sono migliaia di Pachinesi in Canada, Germania, Stati Uniti e Australia), la disoccupazione, la lontananza delle istituzioni, la mancanza di strutture adeguate (vedi la costruzione di un ospedale completato da decenni ma non avviato), sono i problemi che tutt'ora viviamo, responsabile principale lo scarso amore per le nostre origini, per i nostri monumenti, per la nostra cultura, per la nostra memoria.