Davide Napolitano

a cura di Rosario Ardilio

 
Ciccio Blundo  ha scritto:  
Conosco Davide Napolitano da Quando "portava i calzoncini corti",  
 Ne ho seguito l'attività artistica da quando adolescente trovò in qualche modo qualcuno che gli regalasse tele, colori e pennelli così da realizzare i primi "quadri".  
  
Da quelle prime composizioni, ispirate ad un candore paesaggistico e tuttavia subito rivelatrici di talento e di possesso sicuro dei mezzi espressivi, anche se talora appesantite dalla preoccupazione tipicamente giovanile per il raggiungimento di una perfezione formale e di un'adesione stilistica nei confronti della realtà rappresentata molti anni sono trascorsi.  
Con ciò volendo dire che Davide, alla soglia dei quarant'anni ha raggiunto quella piena maturità tecnica culturaIe ed umana che gli consente a pieno titolo per meriti acquisiti e per valore dimostrato di entrare nella "cerchia degli artisti autentici", cerchia in Sicilia tanto più ristretta quanto sempre più numerosa è la folla di quanti tenendo in mano un pennello o per averlo tenuto talvolta di biglietti da visita si armano con sopra scritto, in bella evidenza, il titolo di "pittore".   

Maturità che è frutto (verrebbe voglia di dir "costo" ) di studio di applicazione e di sacrificio, di verifica della propria personalità attraverso le diverse esperienze affrontate nel fluire di una vocazione che non ha conosciuto pause o tentennamenti, per una fedeltà alla pittura e all'arte che è stata ed è testimonianza di coerenza e soprattutto di amore.  
  
Coerenza nella scelta decisa e nella promessa fatta a se stesso, e mantenuta, di non percorrere altre strade che non fossero quelle dell'arte, strade faticose irte di difficoltà e di ostacoli di ogni genere, annebbiate, in questo estremo lembo di Sicilia cui ogni estate per un mese ritorno e a cui Davide con tenace passione è abbarbicato, non tanto da ostilità o da diffidenza quanto da genetica, imperturbabile, millenaria, desertarabafricana indifferenza.   

Dire delle opere di Davide, a questo punto, mi appare scontato e superfluo: la loro valida preziosità non necessita di mediazione alcuna.  
Tutti, dal semplice"visitatore" all'acuto, colto e smaliziato "scrutatore", le emozioni dal "naturalista" cercate nelle macchie di Vindicari o nell'accecante biancore delle Concerie o nelle trinche steppose di Portopalo, e dall'artista tradotte in disegno e soprattutto in cromia, per quel miracolo che solo l'arte autentica produce, tutti tali emozioni rivivono: nostalgiche di una natura incontaminata e propositrici di quei valori etici e civili che egoismo mascherato da progresso ogni giorno conculca ed offende.  
  
Più importante invece. ancora accostandoci a tali opere, mi sembra la domanda che spontaneamente all'interno nasce e civilmente all' esterno si pone: assistendo, come oggi assistiamo, alla "costruzione sempre disinteressata di tanti miti e maestri", è proprio necessario, per un artista legittimato ad un giusto successo, recidere il cordone che alle proprie radici e alla propria terra lo lega?   

È il "silenzio" - o la svendita della propria coscienza - il prezzo che i figli più nobili della Sicilia devono pagare per non cedere al1a tentazione di cercare altrove il riconoscimento dei loro meriti e del loro ingegno?  
 E' ancora vero, dopo tanti anni di parole, che "più nessuno porterà al Sud..."?  
  
Giuseppe Drago ha scritto:   

Davide Napolitano non ha dovuto studiare per diventare pittore. Chè pittore lo era istintivamente: pittore nelle dita, - mi si lasci il metaforico paragone -, come un uccello ha nell'ali il senso del volo. Sicché era giocoforza che non studiasse nient'altro. Per essere pittore e basta. in una dimensione unica e totalizzante e in questo, pittore di paesaggio, il suo naturalmente, quello del circondario di Pachino.   

E questo necessita almeno una precisazione. Davide non sa dipingere a memoria né nel chiuso di uno studio, né tantomeno lontano dalla terra che lo ispira. Ricordo infatti i silenzi creativi di via de' Serragli o di Costa de' Magnoli, nella Firenze della nostra formazione giovanile, mentre covava e montava la tensione che sarebbe esplosa solo nei soggiorni del ritorno.  

La scelta di non lasciarsi tentare dal paesaggio toscano era dettata dalla consapevolezza che l'arte sua vive laddove si nutre di ispirazione più ferma. E ad ispirare i più genuini sentimenti, che poi fanno quel canto d'amore che è la sua pittura, sono i luoghi della terra natia, i pantani e pantanelli, il biancore delle saline, le sabbie rosse delle contrade dell'estremo Sud dove s'incantano i due mari mentre i venti capricciosi allettano le erbe e cullano le cime orgogliose degli ulivi e dei carrubi.  
E questo dà alla pittura di Davide Napolitano, una grande magia evocativa.   

Il giuoco sapiente e scaltro del cromatismo, della pennellata stessa, fa sì che le macchie dei gialli evochino il giallume delle stoppie o il gialloro delle messi, in un ritrovarsi di significanze che spinge chi guarda a cercare, tra le sfumature della tavolozza del verde la scorza della lumia, la nepitella, il rosmarino, e tra gli aranciati e i bianchi, gli aromi d’agrumanza o il profumo dei mandorli in fiore.   

E' una pittura sottesa ad una forma di impressionismo, ma di impressionismo lirico, chè la bellezza di questi quadri è tutta nella freschezza e nella immediatezza, quasi istintuale, del segno. Un segno personalissimo che di tela in tela, riesce a rigenerarsi e a riproporsi uguale a se stesso e pur sempre dissimile: con una modalità creativa che rifugge dalla ripetizione e dalla riproposizione di maniera. È da questo che si distilla pertanto quello stile personalissimo e pur sempre alimentato dalla ricerca di soluzioni nuove, nell'equilibrio compositivo, nel taglio prospettico, nella sfumatura dei colori, escludendo le cristallizzazioni proprie della ripetizione che fanno le firme a clichè, stereotipate e consunte, sebbene troppo spesso accreditate dall'industrializzazione del mercato.   

Davide Napolitano rifugge da tutto questo proprio con quel suo non sapere e non volere "pittare" a memoria creando e trovando sempre l'ispirazione nel contatto diretto col paesaggio, abbandonandosi ad esso per riprodurne l'armonia spontanea d'assonanze liriche, dove il pantanello lenisce l'arsura delle sponde salmastre, il fico d'India lambisce la trazzera contorta e la trinca guarda il Mediterraneo.   

Mi piacerebbe accreditare la diceria di Davide Napolitano pittore "ri macci", ma intendendo evidenziare con questa accezione dialettale quel recupero lirico che la sua pittura riesce ad operare, di dimensioni arcane e di musicalità perdute: il gracidare delle rane, il frinire delle cicale, le cianciane dei cavalli bardati. Chè tutto questo vi è nel giuoco sottile degli adombramenti, delle esclusioni, per far sì che le terre impresse perdano i contorni della contemporaneità, del presente, per farsi rappresentazione di un circondario di terre senza tempo, o di un tempo il cui continuum è dato dalla perennità della vegetazione tipica, l’asfodelo, il carrubo, i lentischi, la palma nana, sicchè Pachino echeggia il latifondo Scibini, o ancora più in là, il feudo Xibini.   

E farebbe bene Davide a titolare con appassionata cura ogni opera, e dire “Masseria di S. Lorenzo osservata da oriente", "Carrubi di contrada Burgio"; chè la parola non sarebbe in questo caso inutile tautologia, ma potrebbe darsi al fruitore come strumento, come parola chiave per sollecitarne e coinvolgerne la più complessa compartecipazione, culturale ed estetica ad un tempo.  
  
 

DAVIDE  NAPOLITANO
 via Pietro Mascagni, 2 96018 - Pachino (SR)
 Tel. 0931-846339


 

 
 
 
 
 
 
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